One Size Fits All è per me tra i meglio cinque dischi di Frank Zappa (1940-1993) è con la formazione che più mi piace, quella con George Duke tastiere e synth e Ruth Underwood vibrafono, marimba e percussioni varie, sono loro due che fanno la differenza. Registrato in studio e pubblicato nel 1975. La formazione è ridotta, non è la band di 12 musicisti di In New York, sono solo in sei ma il suono è potente e non manca nulla. È meno provocatorio e c’è una gran complessità di suoni e ritmi come al solito e di più, ma l’ascolto è facile e godibile. Insomma è il primo disco di Zappa da comprare se non lo avete mai sentito e volete conoscerlo.

Qua Inca Roads che è il primo brano in One Size Fits All registrato dal vivo nel 1974 con quella stessa fantastica band.

Continua la raccolta dei dischi amati. Al primo posto ci metto Zappa In New York (cioè al primo posto ma per secondo che ieri ho messo l’Hendrix che è il primo che ho comprato in vinile ma non è il primo per valore).

È difficile per me scegliere tra i dischi di Zappa ma son tentato proprio di scegliere questo. Faccio riferimento non al vinile originale uscito nel 1978 ma al doppio CD pubblicato nel 1991 più corposo del vinile originale. Le registrazioni sono state fatte durante una serie di concerti nel dicembre 1976 al Palladium di New York. La formazione dei gruppi di Zappa che preferisco è quella di circa metà anni 70, quella inconfondibile con Ruth Underwood alle percussioni e George Duke alle tastiere, qua c’è Ruth ma purtroppo manca George in compenso c’è un fantastico Terry Bozzio alla batteria e una potente sezione di fiati con i fratelli Mike e Randy Breker, Ronnie Cuber, Tom Malone e Lou Marini. Della Ruth Underwood poi grande ammirazione come musicista e grande ammirazione di “genere” per come si deve essere imposta in una band di simili “omacci”.
Nei 2 cd sono notevoli le tre versioni di The Black Page e poi The Torture Never Stops e il finale con The Purple Lagoon/Approximate.

E qua ecco The Black Page con il solo di Terry Bozzio e a seguire la Black Page #1 di Ruth Underwood

Dai pronti e via: Jimi Hendrix, Isle of Wight, non è il più bel disco di Hendrix ma documenta uno degli ultimi concerti registrato il 31 agosto 1970, Jimi muore tre settimane dopo il 18 settembre 1970.

Negli anni ’70 non avevo molti soldini e non avevo un giradischi stereo hifi ma una specie di valigetta con il braccio puntina pesantissimo che mi rovinava tutti i dischi. Insomma non ho avuto molti dischi, la mia discoteca l’ho fatta poi coi CD, ma questo ce lo avevo per davvero in vinile, è stato uno dei primi che ho comprato insieme all’altro postumo di Hendrix In the West. Qua Jimi suona con Mitch Mitchell alla batteria e Billy Cox al basso che aveva sostituito Noel Redding. Di questo disco ho sempre amato moltissimo l’inizio del lato due con “Freedom” che sfuma con la cover di “All Along the Watchtower” dell’infelice e noioso strappapalle Bob Dylan che quando deve averla sentita suonare da Hendrix ha finalmente capito che era il momento di imparare a suonare. Ecco comunque qua potete sentire la versione di “All Along the Watchtower” che c’è in Electric Ladyland con la formazione classica di Jimi con Mitch Mitchell e Noel Redding al basso.

Non ho mai prestato molta attenzione a Giorgio Morandi, non è mai stato tra i miei preferiti e nemmeno un riferimento, poi durante le feste passando da Grizzana ho visitato la casa e ho capito. Realista Astratto Minimale Francescano Sottovoce Riservato Sensibile Coraggioso e altro ancora. La casa è visitabile dal 31 luglio al 30 settembre 2016 gli orari di apertura di Casa Museo Morandi sono i seguenti:
SABATO e DOMENICA: ore 11,00-13,00 e 15,00-18,00
In altri periodi se scrivete o telefonate alla biblioteca potete chiedere di farvela visitare biblioteca@comune.grizzanamorandi.bo.it

ma insomma era un incubo o cosa? ma niente era una roba tutta buia con delle luci colorate a metà tra la N…. e la discoteca, foto e filmine varie proiettate sulle pareti, impianto tipo diggei, saluto la N…. in disparte che è un po’ sull’incazzato e sul che ci faccio qui? per l’occasione ci ha una tinta con ciocche azzure o forse è solo effetto della luce boooh no no erano azzurre! tutti vanno a farle saluti e riverenze in poltrona sembra il papa poi incontri i soliti più che altro vecchie glorie diciamo maggioranza assoluta di post cinquanta e anche verso ottanta c’è anche il M…….. poi tratto male il P… quello che sul facebook fa quella stupidata del t….. .. …. saluto la E….. che dice no venerdì no facciamo lunedì incontro la P….. che mi vede incazzato poi la C……. e ci mettiamo a un tavolino la P….. è gentile e mi porta uno spriz che ovviamente non bevo e me ne vado, incontro uscendo la M….. che non vedo da tre anni e dice che vuole parlarmi ok gli dò un biglietto da visita che poi arrivo a casa e acci non ne trovo più e li ho finiti devo andar dal fotocopista a farmeli stampar

ecco te dai fammi l’interpretazione del sogno

TOM VACK. DRUNK ON LIGHT (AN AMERICAN PHOTOGRAPHER IN MILAN)
A film by ESTER PIROTTA and EMILIO TREMOLADA

Tom Vack is an American photographer and this is the story of his professional career from the middle 80s, when he leaft Chicago -called by Michele DeLucchi, Philippe Starck and Ingo Maurer to work in Europe- and moved to Milan, to present day.
His work has been influenced by the American ‘film noir’ of the 40s-50s, as well as by the art works of Man Ray and Noholy-Nagy. Tom Vack’s photographs are portraits of objects, where the focus is the manipulation of light. Light that comes from the dark… light used artfully to enhance the nature of the object, its form and its material characteristics.
In ‘Drunk on light’ we talk about design, photography and above all about light.

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Tom Vack è un fotografo americano e questo è il racconto del suo percorso professionale dalla metà degli anni ’80 ad oggi, da quando -chiamato da Michele DeLucchi, Philippe Starck ed Ingo Maurer a lavorare in Europa- lascia Chicago e si trasferisce a Milano.
Il suo lavoro è influenzato dai film noir americani degli anni ’40-’50 ma anche dalle opere di Man Ray e Noholy-Nagy. Le sue fotografie sono dei veri e propri ritratti di oggetti, nei quali la manipolazione della luce ha un ruolo fondamentale. Luce che emerge dal buio, dal nero… luce usata abilmente per esaltare la natura dell’oggetto, la sua forma e le sue caratteristiche materiche.
In ‘Drunk on light’ si parla di design, di fotografia e soprattutto di luce.